Premio Dedalus 2015 a Fabio Pusterla, poeta che denuncia la devastazione ambientale

Premio Dedalus 2015 a Fabio Pusterla, poeta che denuncia la devastazione ambientale

PORDENONE – Il 19 settembre 2015, alle ore 21.00, presso la Loggia del Municipio di Pordenone, si è svolta la cerimonia di premiazione della decima edizione del premio “Stephen Dedalus”, sostenuto dalla rassegna pordenonelegge. L’opera premiata del poeta ticinese è Argéman (Marcos y Marcos 2014).

La motivazione del premio, espressa da Niccolò Scaffai, pone l’accento sulla dimensione civile della poesia di Pusterla che ha sempre avuto uno sguardo acuto e indagatore sulla natura e sugli aspetti molteplici di essa. Questo sguardo che attraversa tutta la scrittura di Pusterla, assume particolare importanza anche per il nostro territorio, vittima di uno scempio ambientale che sembra non avere fine come dimostra la recente e drammatica scoperta della gigantesca discarica a Calvi Risorta, in agro caleno. Nella motivazione si legge «Le poesie di Fabio Pusterla hanno spesso come sfondo la natura, còlta con uno sguardo che non indugia romanticamente sul paesaggio ma che si concentra sulla materia geologica, la pietra, la torba. Una natura non consolatrice, dunque, sfondo inquietante di una vicenda umana attraversata dalla violenza e dal degrado. A questi temi si collega la dimensione morale, che sostiene tutta l’opera in versi di Pusterla. Dimensione morale e civile, espressa con misura di tono ed equilibrio formale; qualità che, nelle raccolte mature, assumono anche una funzione pedagogica: non nel senso più facile e conciliante del termine; ma nel senso che lo sguardo di Pusterla individua, tra le pieghe della cosiddetta normalità, le tracce d’ipocrisia che caratterizzano l’agire umano, rivelandole ed esponendole …»

Durante la serata di premiazione il poeta (che fu ospite degli “Amici della Musica” di Pignataro Maggiore nell’ottobre del 2012) ha voluto leggere la poesia Terra di Lavoro, che fu composta proprio durante la sua breve esperienza in terra casertana e che è inclusa nella raccolta premiata Argéman. Si tratta di una lunga e vibrante poesia dedicata a Giovanni Nacca e a Peppe Rotoli, che richiama la drammatica trasformazione della nostra terra da Terra di Lavoro a Terra dei Fuochi, con una serrata denuncia della devastazione speculativa e criminale dell’ambiente. Vogliamo, inoltre ricordare, che il poeta ha letto Terra di Lavoro anche in occasione del recente Premio Bodini ottenuto a Lecce (agosto 2015) e che la stessa fu letta a conclusione della Lectio Magistralis per il conferimento del Premio Napoli 2014 nella Sala dei Baroni del Maschio Angioino di Napoli.

Si tratta di segni e gesti significativi che stanno a testimoniare quanto il poeta ticinese sia rimasto legato alla nostra Terra. Ha fatto riecheggiare il nostro grido di disperazione in luoghi e momenti di grande importanza. Non si può che essere grati a questo indiscusso protagonista della letteratura italiana ed europea.

Giovanni Nacca

 

TERRA DI LAVORO

 

a  Giovanni Nacca

e a Beppe Rotoli

che resistono

 

Colano dal vulcano

villini e quartieri abusivi.

Più in alto le ginestre.

Sopra: recenti lave.

 

Freme distante il mare

sotto una cappa grigia di tempesta;

la speranza che resta

chiama a non disperare.

 

A sud d’ogni pietà

spietati camorristi,

a nord d’ogni ragione

becerumi leghisti.

 

I vivi hanno sul palmo

la cenere dei morti,

sulle rovine antiche

ulivi, tronchi storti.

 

Passava a Pignataro

lesto Francesco Flora.

Non aveva firmato.

Non firmerebbe ancora.

 

*

Sotto la terra covano

le scorie velenose.

Sopra la terra vegliano

le Madri dolorose.

 

Tutto un intero giorno

ferme nel cimitero,

nel nome di una figlia

per secoli di nero.

Vita che non guarisce,

morte che non finisce,

sorte che ti colpisce,

parola, ultima gioia.

 

 

Madri stelle dell’alba

gridano silenziose

sulle piazze d’Italia

i destini orrorosi.

 

In Terra di Lavoro

fra il Volturno e Gaeta

l’elenco dei tumori

è stato silenziato.

 

Ortaggi a foglia larga

olive e pomidori

quando la terra spurga

imbevuti di scoli.

 

*

Quelli che hanno tradito

che si sono venduti.

I compagni perduti

che hanno o non hanno capito.

 

Non solo pane, dolore profondo,

Beppe dirà a un compagno:

spezzare anche questo nel mondo.

Ma tu sei rame, o stagno.

 

Quelli che sono andati

lontano a faticare;

e gli altri qui rimasti

rapaci a banchettare.

 

Una luce che scopre anime:

ecco, ancora lui, Pasolini.

Il vento che spazza a raffiche,

gli sguardi dei bambini.

 

La luce delle candele

non quella elettrica, cara;

pietà mista ad orrore,

la scuola sempre più amara.

 

Rossana, maestra, imbastisce

un po’ di domani per tutti,

ma quando si abbatte un rovescio

non sa se terranno i diritti.

 

Seimila fotografie,

museo di eroismo muto.

Gli occhi di chi per vie

traverse è sprofondato.

 

La tromba di un tramviere

astronomo nel dopoguerra;

la tomba silente dei molti

zittiti in un pezzo di terra.

 

*

Fiumana di fanghiglia,

scopeti montaliani.

E, sui bastioni, a Capua

graffiti d’amore vani.

 

Dal pontile dei treni

leggi su un muro esterno:

voglio crepare ubriaco

e vomitare all’inferno.

 

Angela che diceva

e poi abbiamo fallito.

Voleva dire una cosa

atroce. Sconfinata.

 

La canapa le pecore

le bufale al crepuscolo.

Una campagna sdrucciola,

contro un cielo corrusco.

 

Olim Campania felix

si legge sulle carte.

La Terradi lavoro,

donne dal viso assorto.

 

La sera sullo specchio

d’acqua s’apposta un airone:

sulla peschiera regia

ombra di re borbone.

 

Asini dentro un prato

cani sdraiati al sole

politici al senato

terra che forse muore.

 

*

Nel campo di Giovanni

sale alla luce un sasso,

un fossile preistorico

smorfia, frammento smosso;

 

forse  coda di scheletro,

freccia o  punta d’antenna,

traccia segno viatico:

memoria che non inganna.

Memoria che resiste

fitta come in un cuore

tenue come la pace

aspra come il lavoro.

Il lavoro che manca,

il lavoro rubato.

Il lavoro per tutti.

Il lavoro riconquistato.

Il lavoro che si potrebbe,

la parola che ci direbbe,

il mondo che si vorrebbe,

la giustizia che non si farà.

Nel campo di Giovanni

un sasso sale a luce,

qualcosa che conduce,

scampolo di verità.

La Redazione ringrazia per la collaborazione il poeta Giovanni Nacca

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