The Haunting of Bly Manor: in che modo viene stravolto il fantastico?

The Haunting of Bly Manor: in che modo viene stravolto il fantastico?

Il 2020 non è solo l’anno della pandemia e della conseguente interruzione di tanti progetti cinematografici, ma anche quello della realizzazione di buoni prodotti lanciati dalle piattaforme streaming. Tra questi va segnalata la seconda parte di The Haunting, serie horror statunitense diretta da Mike Flanagan, regista che per ogni stagione prende spunto da un differente romanzo o racconto. Dopo l’exploit del 2018, infatti, lo scorso 9 ottobre è stata la volta della nuova serie intitolata Bly Manor, ispirata al racconto gotico “Il giro di vite” (The Turn of the Screw) di Henry James.
Ambientato nella campagna dell’Essex, in Inghilterra, è la storia di una istitutrice che viene assunta da un facoltoso uomo per educare i due figli del fratello, morto insieme alla moglie a seguito di un incidente. La donna si trasferirà in una splendida villa di campagna dove vivrà insieme ai due ragazzini, alla governante, al cuoco e ad una giardiniera. Proprio nella lussuosa abitazione rurale avvengono fatti raccapriccianti.
Quello che rende la serie in nove puntate particolarmente interessante è la costruzione della storia e la variazione sul tema dei fantasmi. Ci troviamo infatti di fronte a una lettura anticonformista che rovescia i cliché dell’horror e rilegge il genere alla luce di peculiari implicazioni filosofiche.
Partiamo dalla tecnica narrativa. La storia viene raccontata ex post da un narratore esterno di cui la sceneggiatura tiene celata l’identità fino alla fine. La voce narrante, infatti, sembrerebbe quella dell’istitutrice, salvo poi scoprire che la donna attempata che fa procedere la storia è – detto tecnicamente – l’aiutante della protagonista. La focalizzazione esterna contribuisce ad alimentare il malinteso.
Il clima gotico e il continuo passaggio dalla realtà quotidiana a una sorta di dimensione onirica che pervade tutti i personaggi – defunti e non – creano un effetto straniamento che confonde e disorienta. A ciò si aggiungono analessi e prolessi ai quali la sceneggiatura ricorre per la presentazione e la descrizione dei personaggi. Inoltre, il tipo di fantastico utilizzato da Henry James nel suo racconto – dal quale viene tratta la storia – che dovrebbe essere, secondo la definizione di Italo Calvino, “quotidiano” (o mentale), nel racconto cinematografico viene a confondersi con un fantastico “visionario”. Ecco perché, come in The Others, attraverso una relativizzazione estrema, ad un certo punto risulta difficile comprendere chi è vivo e chi è morto.
L’aspetto che maggiormente attrae della sceneggiatura, tuttavia, è la demolizione della concezione dell’immateriale fantastico. Nell’immaginario collettivo i fantasmi vengono quasi sempre descritti come entità eterne, che possono mutare la loro collocazione ma non la loro consistenza. Flanagan, che evidentemente di folklore se ne intende (è originario di Salem nel Massachusetts, località del famoso processo alle streghe alla fine del XVII secolo), rivoluziona il rapporto ontologico tra fantasmi e uomini seguendo l’indirizzo filosofico agostiniano. La consistenza eterna viene sottoposta al divenire del tempo, in una dimensione che è quella della memoria. Gli spettri vivono in una sorta di limbo spazio-temporale nel quale dimenticano e vengono dimenticati. Con il passare degli anni, ignorano progressivamente il loro passato da umani e l’oblio gli porta via perfino la propria fisionomia (che la tradizione letteraria solitamente rende eterna). In questa rilettura fantastica, insomma, l‘imperfezione dell’essere spirituale – estraneo alla natura divina – viene sottoposta dall’autore all’insindacabile giudizio del tempo. La clessidra riesce a mortificare il demoniaco metafisico più di quanto non riesca a fare il giudizio morale.

da https://www.paralogismo.com/post/le-conseguenze-filosofiche-dello-stravolgimento-del-fantastico-e-dei-propri-cliché

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