Processo “Giudizio Finale”: la Dda chiede otto anni di reclusione e l’interdizione per Antonio Scialdone

Processo “Giudizio Finale”: la Dda chiede otto anni di reclusione e l’interdizione per Antonio Scialdone

VITULAZIO – Le mani della camorra sulle imprese operanti nel settore dei rifiuti. Otto anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici: è questa la richiesta di pena chiesta dal pubblico ministero Maria Cristina Ribera per il vitulatino Antonio Scialdone, imputato nel processo “Giudizio Finale” insieme ad altre 40 persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere di stampo camorristico, traffico illecito di rifiuti, truffa aggravata ai danni di ente pubblico, riciclaggio e rimpiego di capitali di provenienza illecita ed estorsione; reati tutti aggravati dalla finalità di aver agevolato il clan camorristico dei Belforte.

Lo scorso 11 ottobre, l’accusa ha concluso la sua requisitoria a carico delle 41 persone chiedendo un totale di ben 326 anni di carcere per tutti gli imputati del maxi processo scaturito da un’ordinanza emessa nel maggio del 2009, la quale portò a 5 arresti, l’iscrizione nel registro degli indagati di 44 persone e al sequestro di oltre 40 milioni di euro tra immobili, conti correnti, terreni e società. Stando all’attuale calendario, questo processo dovrebbe andare a sentenza entro la fine dell’anno. Intanto, si attendono le repliche dei legali degli imputati previste per la prossima udienza.

La camorra marcianisana, secondo l’impianto accusatorio, predisposto dai Magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Napoli, avrebbe deciso di investite nel settore dei rifiuti, potenzialmente molto più redditizio e, soprattutto, meno rischioso di quello della droga. Nelle decine di imprese attenzionate dalla Procura, sarebbero stati convogliati i proventi delle attività illecite ed i ricavi delle estorsioni e dell’usura. Le stesse ditte sarebbero riuscite a ottenere la supremazia del mercato, sfruttando il totale controllo del territorio grazie all’operatività militare del clan, arrivando ad assumere una vera e propria posizione monopolistica nel settore dell’intermediazione dei rifiuti.

In particolare Scialdone, quale Direttore Tecnico della società Recam Spa, con tutti i coimputati, al fine di conseguire un ingiusto profitto, consistente nel ritorno economico di non sopportare i costi dovuti ordinariamente per lo smaltimento dei rifiuti presso siti all’uopo autorizzati, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative, organizzavano, cedevano, ricevevano e trasportavano e, comunque, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti. Tonnellate di rifiuti provenienti dalla bonifica degli alvei oggetto di bonifica, ubicati nella zona nolana e gestiti dalla società Recam, a cui attribuivano il falso codice CER 170904 (rifiuti provenienti da demolizione) in luogo del prescritto codice CER 200301 (rifiuti urbani indifferenziati). Tali rifiuti venivano poi inviati alla SEM in forza dell’appalto assegnato alla stessa società, nonostante non avesse l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori- Ambientali.

Il tutto ha procurato ingiusti profitti per almeno 1.550.000,00 euro (un milione e cinquecentocinquantamila), con altrui danno per la Pubblica Amministrazione – tra cui anche il Comune di Casagiove -, corrispondente all’esborso della somma indicata nonché al danno ambientale ex art18 49/86 e succ. mod- . e attribuendo il falso codice CER i rifiuti provenienti date bonifiche e, di conseguenza, ne falsificavano tutti i relativi documenti di trasporto (FIR) e li inviavano alla società Edilcava ed alla società Liccarblock.

A seguito dell’operazione portata a termine il 28 maggio del 2009 e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli – nell’ambito della quale furono eseguite ordinanze di custodia cautelare e sequestro nei confronti di appartenenti al clan Belforte (tra i quali titolari di attività imprenditoriali), indagati per associazione per delinquere di stampo camorristico – la Compagnia della Guardia di Finanza di Marcianise, il 28 luglio del 2009, diede esecuzione al provvedimento emesso dal Tribunale di Napoli, su richiesta della Dda, nei riguardi degli indagati Giuseppe Buttone, Pasquale Di Giovanni, Agostino De Filippo, Mauro Delle Curti, Marisa Golino e Antonio Scialdone.

L’operazione delle Fiamme Gialle rappresentò un vero e proprio traguardo investigativo, in quanto fu la prima volta che si dimostrava giudiziariamente la gestione diretta da parte della camorra di società operanti nel settore dei rifiuti, attraverso le quali il sodalizio criminoso provvedeva al riciclaggio dei capitali nello specifico comparto e, nel caso di specie, anche ad ottenere commesse pubbliche, che rappresentano il prezzo ed il profitto dell’illecita attività. Esponenti apicali di clan camorristici – tra i quali Salvatore Belforte – da lungo tempo si sono inseriti nella gestione dei rifiuti grazie a società da loro gestite: è il caso della Sem, direttamente controllata dal clan Belforte. Quest’ultima otteneva appalti pubblici, anche grazie alla compiacenza di pubblici funzionari, pur in assenza delle necessarie iscrizioni: è il caso degli appalti per le bonifiche degli alvei effettuate dalla Recam, dai quali è derivato un danno enorme per l’Ente pubblico e la contestazione del reato di truffa aggravata.

Per tutti gli indagati la magistratura, a seguito dell’attività investigativa svolta dal personale della Guardia di Finanza di Marcianise e dai Carabinieri del NOE di Roma e di Caserta, dispose un provvedimento cautelare reale consistente nel sequestro di beni e somme di denaro, ritenendoli responsabili del reato di truffa ai danni di un Ente Pubblico, aggravata dalla circostanza di avere agevolato l’associazione camorristica facente capo ai fratelli Domenico e Salvatore Belforte.

L’attività investigativa dimostrò come le organizzazioni camorristiche (nel caso di specie il clan Belforte, operante nella zona di Marcianise) controllavano il settore della vita imprenditoriale, mediante due diverse tecniche tra loro complementari: da un lato, con la cointeressenza e/o il controllo di imprese operanti nel settore dei rifiuti, di modo che tali società diventano un vero e proprio braccio imprenditoriale ed economico del clan; dall’altro, con la predisposizione di una filiera di società dotate di impiantistica per le attività di recupero e smaltimento dei rifiuti.

In questo contesto criminale, il clan camorristico si è dotato di impianti relativi alle varie fasi della gestione e del traffico di rifiuti (S.E.M. S.p.A., Enertrade S.r.l., Ecopartenope S.r.l. e bio. Com.), attraverso cui, oltre ad operare illecitamente nell’economia privata, è riuscito ad aggiudicarsi innumerevoli commesse pubbliche. Infatti, la ditta S.e.m. prima e l’Enertrade poi hanno smaltito illecitamente migliaia di tonnellate di fanghi e di rifiuti codificati falsamente con il CER 170904, oggetto della commessa ottenuta dalla ditta Recam S.p.A., organismo di diritto pubblico del tutto equiparabile ad un Ente pubblico. La truffa operata ha permesso al sodalizio criminale di percepire denaro pubblico altrimenti non dovuto, arrecando alle casse dell’Erario un danno patrimoniale stimato in quattrocentomila euro.

Leggete estratto citazione a giudizio

Red. cro.

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