Nei racconti del pentito Vargas emerge uno spaccato di “vita criminale” dentro il clan dei “casalesi”

Nei racconti del pentito Vargas emerge uno spaccato di “vita criminale” dentro il clan dei “casalesi”
Il figlio di Francesco Schiavone "Sandokan", Nicola Schiavone, fu lui a ordinare l'omicidio di Antonio Salzillo.

CASAL DI PRINCIPE – In nome degli affari la camorra era disposta anche a mediare e ricomporre gli scontri politici. Questo è quanto emerge dal racconto del collaboratore di giustizia Pasquale Vargas, sentito nell’ambito del procedimento “Normandia II”. L’ex killer del clan dei “casalesi” ha parlato ampiamente dello scontro politico tra l’ex coordinatore campano del Pdl, Nicola Cosentino, e l’assessore all’ecologia del Comune di Casal di Principe, Michelangelo Madonna (che non risulta essere indagato). I due si resero protagonisti di uno scontro all’interno del partito che causò la fuoriuscita di Madonna. L’ex consigliere provinciale, nelle elezioni amministrative del 2007 che sancirono la vittoria di Cipriano Cristiano – uomo di fiducia di Cosentino, arrestato nell’ambito dell’operazione della Dda, “Il Principe e la (scheda) ballerina” -, si presentò con una lista civica, ottenendo due consiglieri comunali. A mettere ordine dopo la tornata elettorale, ci pensò – secondo quanto riferisce Vargas – il figlio di Francesco Schiavone “Sandokan”, Nicola. Il primogenito del capoclan, temendo un atteggiamento ostile degli uomini di Madonna sugli affari che interessavano la cosca, sarebbe intervenuto per ricomporre le divergenze tra l’ex sottosegretario all’Economia e l’assessore, affinché quest’ultimo appoggiasse le decisioni della giunta guidata da un sindaco “amico”. In cambio della sua disponibilità, Madonna avrebbe ottenuto qualche appalto nella sua attività di imprenditore.

Non solo Cosentino e Madonna, ma anche i Ferraro. Secondo Vargas, infatti, un’altra pedina fondamentale per il clan era l’ex consigliere regionale dell’Udeur, Nicola Ferraro (l’imprenditore che controllava l’EcoCampania e che si scontrò con la Flora Ambente dei fratelli Orsi), che rappresentava la famiglia Schiavone per gli appalti che gestiva direttamente il cugino, l’ex consigliere provinciale Sebastiano Ferraro. Il complicato meccanismo sugli appalti pubblici, però, non avrebbe potuto funzionare senza l’apporto di dipendenti a disposizione del clan. Per questo Vargas ha indicato in Vincenzo Falconetti, Vincenzo Schiavone e Giacomo Letizia (nessuno dei quali indagato), i riferimenti al Comune che segnalavano gli appalti alla camorra.

La “diplomazia” malavitosa – a detta di Vargas –, però, non aveva il suo bel da fare soltanto fuori dal clan ma anche all’interno. Il pentito racconta che ai summit a Casal di Principe da Nicola Schiavone, ai quali partecipavano tranquillamente anche i latitanti, Michele Zagaria non presenziava mai perché temeva il figlio di “Sandokan”. I due erano in contrasto perché “capa storta” avrebbe invaso il territorio di Schiavone nella raccolta delle tangenti e negli appalti. Antonio Iovine, invece, partecipava a quei summit soltanto a patto che vi fosse anche il giovane rampollo di Schiavone, poiché non si fidava di Giuseppe Setola, l’agguerrito e sanguinario capo della fazione “bidognettiana”. Soltanto dopo l’omicidio di Antonio Salzillo – il nipote di Antonio Bardellino scampato alla prima grande faida interna alla camorra dei “Mazzoni” -, “O ninn” e Schiavone entrarono in contrasto. Il rampante figlio dello storico boss – secondo il collaboratore di giustizia – stravolgendo le regole stabilite da Zagaria, nominò nuovi capizona e fissò lo stipendio unico per tutti gli affiliati.

Insomma, secondo queste testimonianze, emergerebbe che il nuovo vertice della fazione degli “Schiavone” – composto dal figlio del boss ergastolano e dai due Vargas – era un gruppo agguerrito, pronto anche a scontrarsi con storici capi del clan del calibro di Zagaria e di Iovine, ma determinato a ricomporre ogni strappo e a controllare i riferimenti politici, pur di far prosperare tutta la holding criminale.

 

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