Beni confiscati, l’ennesima vergogna tutta italiana: la villa confiscata al killer Abbate versa nel degrado assoluto

Beni confiscati, l’ennesima vergogna tutta italiana: la villa confiscata al killer Abbate versa nel degrado assoluto

PIGNATARO M. – Di un killer che ha tolto la vita a circa cento esseri umani si deve dimenticare tutto, persino il nome e quella faccia che non tradiva emozioni, nemmeno dopo aver sparato a una donna incinta e a Pasquale Auriemma, un quindicenne trovatosi sotto l’inferno di fuoco di quel primo maggio del 1992, la strage di Acerra. Cinque morti macellati su un pavimento, tinto del colore di sangue e organi esplosi sotto le pallottole. Trentotto bossoli in sei metri quadrati, quattro armi micidiali. Due calibro 9, una mitraglietta militare e una Magnum 44.

A sparare in quella modestissima casa di tre stanze e bagno alle porte di Acerra, c’era anche Antonio Abbate, “Tonino”, come lo chiamavano più per paura che per vezzeggiare la sua anima senza sussulti umani. C’era lui che era una delle bocche di fuoco importanti nella faida di quegli anni di terrore, tra le famiglie Crimaldi e Di Paolo.

Abbate stava con i Di Paolo, o forse era solo un fuoriclasse di morte, un mercenario professionista per creare orfani e vedove a seconda dei potentati che lo assoldavano. Giocava a pallone tra un raid e l’altro. Confessò addirittura di tenersi in forma col calcetto per essere più efficace nelle sue azioni paramilitari, quando ammazzava senza pietà bambini e donne.

Di un killer deve essere dimenticato tutto, ma bisogna farlo sapere alle generazioni future che un boss, per quanto potente e feroce, può essere messo a nudo come nella più tradizionale delle fiabe.

Le confische dei beni del killer e la collaborazione di Abbate con la Giustizia potevano rappresentare un binomio fondamentale per riscrivere la storia di Pignataro Maggiore.

E invece, come dimostrano senza pietà le foto, la villa confiscata al boss del cartello Lubrano-Abbate-Ligato resta a fare da monumento all’assoluta incapacità di innestarsi sul solco della rinascita sociale. Erba e piante che invadono la strada e impediscono il passaggio dei mezzi, la piscina che è ormai ridotta a una pozza maleodorante, raccoglie topi, piccoli rettili e zanzare che infestano la zona nei mesi caldi.

La villa che era appartenuta all’implacabile boss, insomma, sembra essere paradossalmente più pericolosa di quando ci abitava l’uomo capace di uccidere cento persone nella sua raccapricciante ascesa criminale.

Una solita storia di lentezza tutta meridionale, se si considera che l’Amministrazione di Pignataro, il 22 aprile del 2013, aveva espresso interesse all’acquisizione del bene confiscato ad Abbate.

Il 4 luglio dello stesso anno, poi, nel corso di una sfibrante ma inutile (almeno fino ad oggi) seduta consiliare erano state registrate le proposte per un programma di riutilizzo del bene. Amministratori, associazioni, giornalisti e semplici cittadini avevano avanzato interessanti idee per la riqualificazione della villa confiscata al sanguinario camorrista.

Nulla, tutto sembra essere risucchiato da quella piscina piena di melma e animali.

I residenti della zona sono allo stremo. “Qui non possiamo vivere, soprattutto in estate gli insetti e gli animali rendono malsana tutta la zona”, ha fatto sapere uno dei pignataresi che vive a pochi passi da villa Abbate. Per non parlare del minimo sindacale in fatto di cura quando si parla di un bene sottratto alla camorra: nemmeno le piante e i grossi alberi vengono potati.

Il risultato è quello che si vede nelle immagini. Una foresta di alberi e abbandono che si perde nella più folta sterpaglia delle chiacchiere e delle proposte di rilancio mai prese in considerazione.

L’ombra di Antonio Abbate sembra non essere ancora uscita da quel bene confiscato.

Salvatore Minieri

 

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